«Mi sono guardato intorno: la mia anima era ferita dalle sofferenze dell’umanità»
Aleksandr Nikolaevich RADISCHEV
Molto spesso ci viene chiesto: ma come mai in Russia?
Un’intervista al nostro Presidente da parte del Parroco della Parrocchia russa ortodossa di Torino racconta i motivi per i quali l’Associazione è stata fondata ed opera, ricordando che – come da Statuto – è sempre stata e rimane un’Associazione laica che opera unicamente in favore dei bambini meno fortunati di Russia. Un aiuto in più per capire chi siamo e perché siamo nati.
INTERVISTA AL PRESIDENTE ENNIO BORDATO
Un ambasciatore di pace e speranza tra Italia e Russia (2012)
Ennio Bordato è il Presidente dell’Associazione Aiutateci a Salvare i Bambini Onlus, benemerita per avere dato una concreta speranza di vita a centinaia di bambini della Federazione Russa. In Italia è anche uno degli osservatori più attenti e sensibili del mondo russo: non è un caso che Gabriella Caramore, nella trasmissione “Uomini e Profeti”, lo abbia recentemente intervistato accanto a slavisti di spicco come Adriano Roccucci (autore di studi storici e sociologici sulla Chiesa russa) e Natalino Valentini (traduttore di Pavel Florenskij e di altri autori religiosi russi).
Abbiamo voluto porre a Ennio (da anni amico della nostra Parrocchia) alcune domande per comprendere lo sviluppo del suo cammino di fede e di impegno.
1. Sei conosciuto come uno dei principali “ponti” tra Italia e Russia: com’è nato questo legame?
Non lo sapevo … Il mio legame con la Russia nasce nel lontanissimo 1981 (!) quando un amico, scomparso in giovane età, mi chiese se avessi avuto voglia di visitare Mosca. L’allora Urss era per me un’entità assolutamente sconosciuta, nessun legame culturale, politico o ideologico. Allora fu un viaggio che definisco “del destino”. Non mi innamorai della Russia, ne fui colpito, anzi “stramazzai” incontrandola per effetto di un “senso di appartenenza” che – non esagero – mi sconvolse sin dall’atterraggio a Mosca. L’odore della Russia, il cielo di Russia, la gente, una lingua sconosciuta ed una scrittura “araba” fu per me fatale. Non solo, ma più tardi, quando iniziò l’avventura di “Aiutateci a Salvare i Bambini” mi accorsi, con immenso stupore, che nel 1981 alloggiai in un hotel dell’allora estrema desolata periferia della città dove, alcuni anni più tardi, proprio di fronte, fu costruita la Clinica pediatrica RDKB …
2. Ci puoi dire qualcosa del tuo cammino di fede, e di come sia stato influenzato dai contatti con la Russia?
La Russia ha portato il dono della riconciliazione con la Chiesa e la Fede. Nato in Italia ed italiano “purosangue” ho avuto, come tutti al tempo, una educazione cattolica (anche se non invasiva e assai libera da parte della mia famiglia). Ma abbandonai di praticare nell’adolescenza.
Anche se al tempo esisteva l’URSS, grazie alla mia curiosità e – diciamo così – apertura al mondo russo, ebbi la fortuna di assistere ad una Liturgia nel Monastero di San Sergio verso la metà degli anni ’80. Il Cielo si spalancò sopra di me facendomi riconciliare con la Fede.
E questo anche se, qualche anno prima, a Leningrado la visita alla Lavra durante una Liturgia si concluse in pochi minuti a causa dell’intervento di una vecchina che iniziò ad inveire contro “i turisti” e ci cacciò dal Tempio …
3. Nel 2001 nasce l’associazione “Aiutateci a Salvare i Bambini”, di cui sei tuttora anima e promotore. Che cosa ti ha portato a impegnarti in questo campo di volontariato?
Dal 1981 al 2000 vidi l’ultimo gemito dell’Urss ed il vagito della “nuova Russia”. Brežnev, Andropov, Černenko, Gorbačev, El’cin … forse non diranno nulla ad un giovane d’oggi, ma per chi ha passato la cinquantina descrivono in un secondo la fatica, drammatica, della vita dell’uomo russo e sovietico. Vidi un popolo ed un paese allo stremo. Stremo economico, fisico e spirituale.
Il 1 gennaio del 1991 a Kiev (eravamo andati “all’estero” …) cenammo nel più grande hotel della città con il cappotto – non funzionava il riscaldamento – con mezzo pollo freddo in tre ed una bottiglietta di cognac. Le uniche cose che la cucina poteva offrirci. Non potevo rimanere distante da dramma del popolo russo. Poi, per caso come accadde nel 1981, l’occasione arrivò nel 2000 quando un caro amico – Michail Talalay – mi informò di avere aperto un sito internet (uno dei primi) sulla storia della Chiesa ortodossa russa in Italia. Ecco su quel sito, arrivato da chi sa dove, apparve un banner. Cliccai ed entrai nel sito, ancora abbozzato e mi si passi il termine, terribilmente brutto, del Gruppo di Volontariato Padre Aleksandr Men’ di Mosca.
Una prima veloce raccolta di fondi, un viaggio a Mosca, l’accoglienza della scomparsa Galina Čalikova allora vicepresidente del gruppo che mi ospitò, sconosciuto, in casa sua per tre giorni e l’aprirsi delle porte della Clinica RDKB e del reparto di Oncoematologia che ricordo dipinte con una vernice bianca a più mani e nere di muffa… Da questo caso, ancora una volta “fortuito” e da questa accoglienza nacque l’Associazione che, negli oltre dodici anni di vita ha fatto una tale mole di azioni che nessuno pensava potevano essere concluse.
4. Tra le figure spesso citate in relazione al tuo impegno ci sono i padri Aleksander Men’ e Georgij Čistjakov: hai potuto conoscerli? Che impressione hai avuto di loro e della loro missione? Quali altre figure della Chiesa russa ti hanno ispirato?
Padre Men’ – assassinato nel settembre del 1990 quando ancora non era nemmeno nei miei pensieri l’Associazione – mi sembra di averlo conosciuto personalmente. Me ne hanno parlato, con dolcezza ed acume, innanzitutto la Presidente del Gruppo Lina Zinov’evna Saltykova e molti altri volontari che lo seguirono nell’avventura che segnò, senza ombra di dubbio, due pietre miliari della nuova Russia: la rinascita del volontariato ortodosso (e non solo) e soprattutto la nascita della Società civile mai esistita nemmeno prima dell’Ottobre 1917.
Una persona – purtroppo quasi sconosciuta in Italia – ma che si deve accumunare con altre personalità russo-sovietiche assai conosciute: Aleksandr Solženicyn, Andrej Sacharov e Mstislav Rostropovič. A parte Andrej Dmitrievič Sacharov, gli altri due hanno avuto rapporti stretti con padre Men’.
Rostropovič è poi diventato un grande amico della Clinica RDKB di Mosca e del Gruppo di Volontariato, un beneffattore.
Altro discorso attiene a Padre Čistjakov: ho avuto modo di conoscerlo personalmente in alcune occasioni davanti ad un thè o a dei pasticcini nel “retro chiesa” della Clinica, sede storica del Gruppo di Volontariato. Che posso dire? Un gigante nelle fattezze di un uomo dolce e tranquillo.
Una montagna, salda dal punto di vista teologico, che riusciva a parlare ed ascoltare tutti: dai bambini agli scienziati, dai credenti agli atei. Un degno interprete della continuazione dell’essere prete di Padre Men’. L’uno in un periodo in cui necessitava riportare alla fede ad un popolo sbandato che veniva ascoltato e seguito anche da comunisti sovietici … l’altro che quando predicava nella Chiesa della RDKB di Mosca ai bambini ammalati, alle loro mamme e agli astanti incantava riuscendo letteralmente a portare il Cielo sin dentro le mura dell’ospedale dei bambini. Invito su questo il lettore a leggere il nostro volume “Un bicchiere d’acqua fresca” di una delle maggiori scrittrici russe contemporanee Ljudmila Ulickaja che non solo narra i vent’anni di questa esperienza, ma riporta molti brani inediti di Padre Men’ e Padre Čistjakov.
5. Nel 2004 la tragedia di Beslan apre per te e per l’Associazione un nuovo campo di impegno. Come vi siete mossi in questo campo? Perché ritieni che sia importante una conoscenza approfondita e obiettiva di questo evento straziante?
Il 4 settembre 2004 ero a Mosca per un incontro programmato in clinica. Lì le notizie iniziavano ad essere chiare. Uno dei massacri più cruenti della storia (conosciuta) dell’umanità aveva colpito una scuola, dei bambini. Come potevamo non cercare di aiutare le vittime ed i sopravvissuti? Con la Presidente Saltykova iniziammo ad ipotizzare alcuni scenari. Io, dal canto mio, avevo maturato l’idea di accogliere a Trento un piccolo gruppo di sopravvissuti… ma ecco che nel pomeriggio fui raggiunto da una telefonata dell’allora Presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, che mi disse di invitarne un gruppo e che l’Amministrazione avrebbe assunto ogni onere dell’accoglienza.
Dopo quaranta giorni, grazie alla compianta prof. Vanna Axia dell’Università di Padova e alle centinaia di volontari (in primis i Frati carmelitani Scalzi delle Aste con l’allora Priore padre Paolo De Carli) che ci diedero aiuto nell’accogliere queste persone drammaticamente colpite nella carne e nello spirito, proseguimmo sino al 2009 l’intervento nella città di Beslan grazie alle collaboratrici della Prof.ssa Axia, le psicologhe dell’Emergenza Moscardino, Scrimin e Capello che lavorarono con le psicologhe locali in un grande progetto di aiuto e sostegno psicologico conclusosi con la distribuzione di mille DVD interattivi per il governo delle dinamiche dei DPTS (Sindrome post traumatica da stress).
Dopo aver vissuto di persona – per fortuna solo i postumi – di una tale tragedia che ha colpito un intero popolo, dopo aver conosciuto il popolo osseto e la gente, umile, di Beslan lo dovevamo a chi non c’è più. Non dobbiamo mai dimenticare. Dimenticare sarebbe non dare pace ai morti e quei morti ci impongono di ricordarli, ci chiedono di farlo per non scomparire, per non essere morti invano …
6. Pur operando nel campo del volontariato internazionale, sei noto per il tuo interessamento alla politica, sia nel campo delle amministrazioni locali, sia nella formazione dell’opinione pubblica (la tua lettera aperta a Roberto Saviano ne è un esempio). Questo settore – già delicato in occidente – è visto con estrema prudenza nei paesi di tradizione ortodossa, e spesso anche dagli ortodossi immigrati in Italia. Cosa vorresti dire a quegli ortodossi che nutrono forti sospetti per l’impegno politico?
La mia formazione mi ricorda, sempre, anche nei momenti di crisi più acuti verso la “politica” che senza questa un popolo diventa prigioniero e servo. Perde la cosa più importante dell’uomo, la sua dignità. Cos’è in fondo la politica? È la parola di tutti che serve a partecipare a servire il prossimo, essergli vicino e tentare di risolvere i tanti problemi che quotidianamente si pongono nella vita di ognuno. Ma “cum granus salis”.
Certo l’esempio italiano degli ultimi anni è esattamente il contrario ma io, fortunatamente, cresciuto alla scuola della politica fatta di ideali e di servizio, continuo a pensare che – passata questa nottata buia – si potrà rivedere la luce.
E questo nella nostra Società che ha una storia ed una tradizione, assai positiva, in tale ambito.
In Russia invero la Storia non è altrettanto “lineare”. I salti di coloro che avevano in animo di portare il Paradiso in terra e prima di loro degli “Unti del Signore” (che avevano distrutto la grande tradizione del Patriarcato ortodosso) non aiutano certo il fedele ortodosso ad un impegno diretto in politica. Già abbiamo assistito in Russia al dibattito, peraltro cessato quasi subito, di un partito che sarebbe dovuto nascere sull’esperienza della nostra DC (Dio ce ne scampi … qui e la).
Ma un cactus non può attecchire al Polo … Anche in questo il ricorso alla parola di Padre Men’ che diventò il modus operandi del Gruppo di Volontariato è illuminante: “È affar mio”. Il problema del prossimo è un mio problema. Ecco se anche la Chiesa ortodossa russa guardasse con maggiore attenzione al pensiero e all’opera di Padre Men’ si potrebbe certamente assistere alla nascita di un diretto impegno politico (dopo quello sociale) degli ortodossi. Ma credo siamo ancora molto distanti da questo, pesa ancora come un macigno – anche in termini positivi – la immensa e luminosa tradizione della Chiesa russa. Anche nelle più grandi contraddizioni …
I primi 10 anni del nostro impegno: